AUTONOMIE DIFFERENZIATE DI COSA SI TRATTA?
Un terreno di grande battaglia politica per la compagine governativa guidata da Giorgia Meloni sarà di sicuro quello delle “autonomie differenziate”. Su questo tema ci sarà da superare non solo l’opposizione ma anche tutti i paletti che alzeranno le Regioni del Sud che non vedono queste “autonomie” attuato il sano principio dell’equità.
Se è vero, come è vero che Il tema del riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, e che l’argomento si è imposto al centro del dibattito a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017 bisogna dire che con il nuovo Governo torna d’attualità ed il Ministro Calderoli dopo un primo invito informale ai Presidente di Regione ha organizzato un incontro in cui ha presentato una bozza di lavoro.
Un inciso prima di proseguire: le Regioni a statuto ordinario sono tutte ad eccezione di Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia.
Prima dell’incontro di ieri in cui si è discusso il testo della riforma, Calderoli ha provato a smorzare i toni. “Quella sul tavolo è una bozza di lavoro per iniziare a confrontarci e lavorare. Auspico che la versione definitiva di questo testo possa essere scritta con il contributo di tutte le Regioni, perché questa è una bozza aperta ad ogni tipo di proposta”
La bozza di riforma presentata in Conferenza Stato-Regioni dal ministro Calderoli spinge sul percorso di decentramento di diverse competenze, oggi attribuite alla potestà concorrente tra Stato e territorio.
Tra queste: salute, lavoro, ambiente e istruzione. La proposta non piace a tutti i governatori, soprattutto perché non fissa i “Lep”, i livelli essenziali di prestazioni, che dovrebbero essere rispettati in tutto il Paese per ogni materia.
Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, ha definita la bozza “un provvedimento che genera il caos e spacca in due il Paese”. Il presidente della Puglia Michele Emiliano parla del rischio “di una Babele” di regole. Cosa si intende per autonomia differenziata e cosa potrebbe cambiare si chiede Emiliano.
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, modificato nel 2001, prevede essenzialmente che una serie di materie, non affidate in via esclusiva allo Stato centrale, possano essere demandate alla competenza di ogni singola Regione a statuto ordinario (tutte, tranne Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna e la Sicilia). La legge che affida le competenze è “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”
Le materie attribuibili alle Regioni sono indicate ai commi 2 e 3 dell’articolo 117 di Costituzione. Si tratta di: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela di ambiente, ecosistema e beni culturali; rapporti internazionali e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; salute; alimentazione; Protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; reti di trasporto e di navigazione
E ancora: ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; finanza pubblica e sistema tributario; promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito; enti di credito fondiario e agrario
COSA PREVEDE LA BOZZA DI RIFORMA
La bozza di riforma presentata in Conferenza Stato-Regioni dal ministro Calderoli prevede che le Regioni potranno poi a loro volta trasferire le funzioni agli enti amministrativi più vicini ai cittadini: Comuni, Città metropolitane e Province.
Si parla però anche dei “Lep”, i Livelli essenziali delle prestazioni che è uno dei punti più controversi
In sintesi, l’esecutivo avrà tempo 12 mesi per determinare i livelli minimi ed essenziali delle prestazioni che dovranno essere rispettati dalle Regioni nella gestione delle loro competenze, in modo da avere una certa uniformità nel Paese in temi cruciali come salute, scuola, ambiente e beni culturali
Tuttavia, il testo prevede anche che, trascorso un anno senza definizione dei Lep a livello governativo, le competenze passeranno direttamente ai governatori. C’è poi il capitolo dei finanziamenti. La bozza stabilisce che, inizialmente, le risorse necessarie alle Regioni per occuparsi delle materie vengano attribuite secondo il criterio della spesa storica: chi più ha speso negli anni per i servizi corrispondenti alle funzioni, più riceverà. Il valore preciso dei fondi verrà approvato da una Commissione paritetica Stato-Regione
Il criterio della spesa storica dovrebbe poi essere superato, a regime, “con la determinazione dei costi standard, dei fabbisogni standard e dei livelli di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali quali strumenti di valorizzazione e valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della loro azione amministrativa e per il finanziamento delle funzioni riconducibili ai livelli di essenziali delle prestazioni”
I costi standard e i fabbisogni standard saranno determinati “entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore” della legge, dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, “avvalendosi della collaborazione della Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a., dell’ISTAT e della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO) delle regioni”