“LA CICLOVIA DELL’ACQUEDOTTO? PER AQP SOLO UNA STRADINA”.
REGIONI INADEGUATE, INTERVENGANO MINISTERI E AMMINISTRATORI LOCALI – IL PROGETTO DI FATTIBILITÀ TECNICO-ECONOMICA: UN’OCCASIONE MANCATA
Mancanza di uniformità, assenza di un progetto di gestione, assenza di una visione condivisa, esclusione delle connessioni con gli attrattori (persino quelli principali) e con i nodi del trasporto ferroviario nel tratto nord: il progetto di fattibilità tecnico-economica della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, proposto dalla Regione Puglia e approvato dalla Conferenza dei Servizi del settembre scorso, appare come una clamorosa occasione mancata. È quanto afferma in un articolato documento inviato agli enti interessati il Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese.
Il progetto della prima ciclovia turistica nazionale del Mezzogiorno, di cui la Regione Puglia è capofila, si afferma nel documento, tradisce l’assenza di una visione strategica e paga la scelta dello “spezzatino”, con il tronco progettato da Acquedotto Pugliese SpA lungo il Canale Principale, la via verde già esistente e cuore dell’intero itinerario, che risulta davvero di basso profilo: si è agito come si trattasse di costruire una stradina come un’altra, ignorando la valenza storica dell’opera su cui insiste la ciclovia e le potenzialità della nuova infrastruttura quale volano per lo sviluppo delle aree interne della Regione che proprio sul rilancio di un modello di turismo sostenibile possono fondare le proprie speranze di riscatto. Un segnale ulteriore del disimpegno e della mancanza di volontà da parte di Acquedotto Pugliese SpA, che continua a non investire e a non credere nel progetto.
PROGETTO SPEZZATINO –
Diversamente da quanto accaduto per le altre ciclovie nazionali, che hanno
ciascuna realizzato un unico progetto integrale di fattibilità
tecnico-economica, per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese le Regioni hanno
optato per uno spacchettamento in 4 distinti progetti gestiti da 4 diversi
soggetti attuatori. Iter procedurali e tempi di esecuzione degli incarichi non
si incrociano quasi mai, facendo venir meno l’organicità e l’uniformità
necessarie per la progettazione di un’infrastruttura che potrebbe divenire
strategica per il rilancio del turismo nelle aree interne del Sud. La scelta
dello spacchettamento, oltretutto, mette a rischio l’intero progetto, con
Campania e Basilicata che non hanno ancora completato la progettazione e men
che meno avviato alcuna forma di condivisione delle scelte.
LA POSITIVA ESPERIENZA DEL TRONCO SUD – Grazie alla collaborazione con il
Coordinamento dal Basso e al processo di progettazione partecipata, il progetto
del tronco sud curato dalla Regione Puglia, da Villa Castelli a Leuca, appare
molto buono. Il progetto presenta un notevole livello di approfondimento delle
diverse tematiche legate alla realizzazione dell’opera, inclusa ad esempio la
valorizzazione dei tanti siti di interesse culturale e naturalistico presenti
lungo il percorso, prevedendo alcune brevi diramazioni. Tra l’altro sono
previsti elementi architettonici caratterizzanti quali ad esempio l’idea del
“ciclodotto” per la creazione di zone d’ombra. Il tratto meridionale da Monte
Fellone a Santa Maria di Leuca comprende 157 km di tracciato principale e 32,2
km di diramazioni per un totale di circa 190 km.
IL TRONCO NORD SENZA CONNESISONI – Affidato ad Acquedotto Pugliese SpA, il
progetto del tronco nord, da Spinazzola a Locorotondo, è davvero un
progetto-capestro. Dall’analisi delle tavole progettuali emerge la totale
assenza di connessioni con alcuni fondamentali attrattori: sorprendentemente
non è stata prevista neanche una breve diramazione per connettere il sito
Unesco di Castel del Monte e, in Valle d’Itria, il tracciato segue
pedissequamente l’andamento della condotta per riconnettere alcuni brevi tratti
di pista di servizio, saltando a piè pari il passaggio dai centri urbani di
Noci, Alberobello (altro sito Unesco) e Locorotondo. Inoltre viene del tutto
ignorata l’intermodalità omettendo i collegamenti con le stazioni ferroviarie
di Barletta, Ruvo di Puglia e Gioia del Colle.
Il tracciato, così come attualmente disegnato, comprende 167,2 km di itinerario
ciclabile da Spinazzola al nodo idraulico di Figazzano a Locorotondo (punto di
innesto con il tratto di ciclovia già realizzato), oltre ad un tronco di 37,6
km da Gioia del Colle a Bari.
L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE IGNORATA – Non c’è traccia della storia e della
natura nel progetto del tronco nord che non approfondisce il contesto
paesaggistico e storico-culturale di contorno all’opera e non la inserisce
nell’ambito di un più generale intervento di valorizzazione del patrimonio di
archeologia industriale e di fruizione cicloturistica dell’itinerario
dell’Acquedotto Pugliese. Non è dunque il progetto di una ciclovia turistica
nazionale ma il mero progetto di una stradina qualsiasi.
Il progetto effettua un mero rilievo puntuale della presenza di “manufatti”
definiti genericamente ponti canale, edifici Aqp o centrale/serbatoio Aqp,
senza quindi alcun toponimo identificativo e senza valutare valenza
architettonica e utilità funzionale per la ciclovia di tali elementi fortemente
caratterizzanti l’intero itinerario, che fonda la sua forza proprio nella
narrazione di una delle pagine più epiche della storia di Puglia e del
Mezzogiorno. Né d’altronde è stata presa in considerazione alcuna ipotesi di
recupero e riutilizzo di case cantoniere e impianti di sollevamento in disuso.
SMANTELLAMENTO INTEGRALE DELLE STRADE STORICHE – Il progetto conferma e
certifica quanto più volte rimarcato dal Coordinamento dal Basso: tutti i ponti
canale risultano in “ottimo stato di sicurezza e manutenzione” e la
pavimentazione della storica pista di servizio risulta per la gran parte in
“mediocri” o “buone condizioni”. Nonostante ciò, il progetto prevede la totale
ripavimentazione della pista senza considerare l’opzione di non intervento o
intervento solo parziale per più opportuna conservazione dell’esistente. Una
soluzione davvero incomprensibile, anche alla luce degli evidenti limiti emersi
in Valle d’Itria con i dissesti che già si registrano nel tratto ristrutturato.
Non potendo utilizzare leganti chimici, andrebbe preservato il più possibile lo
storico fondo stradale, anch’esso parte del patrimonio naturalistico e di
archeologia industriale.
ASSENZA DI UN PROGETTO DI
GESTIONE – Manca del tutto un progetto di gestione e la definizione di regole
d’uso dell’infrastruttura. In modo particolare, il progetto elude i nodi già
clamorosamente venuti al pettine nel tratto della Valle d’Itria dove
significativamente, accanto alla segnaletica del percorso cicloturistico,
campeggiano ancora oggi i cartelli “Proprietà privata” e “Divieto di accesso”
senza chiarire chi sia l’ente gestore e quali le modalità di fruizione
escursionistica del sito. Si tratta di un problema che ha fatto emergere in più
occasioni l’ostracismo e l’indisponibilità di Acquedotto Pugliese SpA a farsi
carico di questo ruolo. Nel progetto della Regione Puglia è del tutto assente
una visione d’insieme dell’intervento, inclusa una valutazione di partenza
circa i costi e i benefici attesi. Un tema rispetto al quale sono state
disattese le tante aspettative delle comunità e delle imprese locali, che
avevano fortemente caratterizzato la fase iniziale favorendo l’inserimento
della ciclovia nel Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche. Il rischio è
che la modalità dello spezzatino possa essere riproposta anche per la gestione,
senza un coordinamento unico e una gestione integrata che possa consentire alla
ciclovia di produrre ricadute positive sull’economia dei territori.
UNA GRANDE OCCASIONE MANCATA – Nonostante le ingenti risorse pubbliche
investite per il progetto di fattibilità (ben 810mila euro), questa prima
importante fase può considerarsi una grande occasione mancata, con l’incognita
rappresentata dai progetti in corso in Campania e Basilicata, di cui nulla è
dato sapere. Per quanto riguarda la Puglia, la Regione ha dimostrato di poter
fare bene sul tratto sud e non si comprende come mai abbia prestato una così
scarsa attenzione al progetto del tronco nord a cura di Acquedotto Pugliese
SpA. A mancare dunque è una visione chiara del progetto e la piena
consapevolezza delle potenzialità dell’opera.
A questo punto l’unica via d’uscita per tentare di cambiare rotta appare
l’assunzione da parte dei Ministeri competenti, Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti e Ministero per i Beni Culturali, di un ruolo di coordinamento
e supervisione più incisivo al fine di assicurare uniformità al progetto e il
rispetto del Protocollo d’Intesa siglato nel luglio 2016.
In sintesi, il Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto
Pugliese, chiede che vengano garantiti al progetto i seguenti obiettivi:
1. Ricostruire una visione condivisa del progetto che assicuri, dal punto di
vista tecnico, soluzioni progettuali comuni lungo tutto l’itinerario e, dal
punto di vista sostanziale, un progetto chiaro e condiviso sotto il profilo
della gestione e dell’utilità per i territori.
2. Valorizzare le testimonianze di archeologia industriale presenti lungo il
percorso per riaffermare il valore narrativo dell’itinerario e la peculiarità
della prima ciclovia del Mezzogiorno.
3. Ridisegnare le necessarie connessioni con i principali attrattori e con i
nodi di interscambio della rete dei trasporti (stazioni e fermate del trasporto
pubblico e dei servizi a lunga percorrenza).
4. Ritessere i fili della progettazione partecipata che ha mosso l’iniziativa
fin dal primo momento per intraprendere un percorso di coinvolgimento delle
comunità locali, prime protagoniste di un progetto possibile di cambiamento.
5. Mantenere la destinazione di pista di servizio demaniale lungo tutto il
Canale Principale subordinando il passaggio escursionistico al rispetto di un
Regolamento d’uso e fruizione dell’itinerario e vincolando la gestione dello
stesso al servizio idrico integrato e alla responsabilità dell’ente
concessionario dello stesso.
6. Adottare una adeguata progettazione con criteri ingegneristici del fondo
stradale per evitare i fenomeni di dilavamento, dissesto ed errato ripristino
lungo il tratto di 15 Km già realizzato in Valle d’Itria, includendo l’opzione
di non intervento o intervento solo parziale per una immediata e più opportuna
conservazione dell’esistente.
7. Realizzare una segnaletica con indicazione “Ciclopedonale” sulla strada di
servizio: i tratti di strada di servizio che sono divenuti di fatto o di
diritto itinerari escursionistici sono fruiti indistintamente da ciclisti e
pedoni. In molti tratti il numero dei pedoni eccede di gran lunga quello dei
ciclisti. Risulta pertanto essenziale per motivi di sicurezza e per dare pari
dignità agli utenti a piedi che i tratti di itinerario su sede propria abbiano
una segnaletica che indichi la natura promiscua della strada.
8. Assicurare il rispetto dei tempi per impegnare le ingenti risorse
disponibili per la realizzazione del progetto.