Il baseball sul grande schermo
Vedere in televisione per la seconda volta le sequenze del film Moneyball, prodotto nel 2011, dopo la prima volta viste in modo totalmente emotivo per quell’incipit che licenziava il movie quale esortazione a verificare come la vera vittoria non deve essere basata sul risultato ma sul coraggio di portare avanti le proprie idee, ha suscitato una condivisibile curiosità da parte di chi conosce bene la disciplina del baseball, ovvero, come vengono scelti gli attori nei film che trattano di e con il baseball?
Indiscutibilmente il grande schermo è la sintesi dell’arte visiva e tutti i particolari diventano oggetto e soggetto per analisi del dettaglio e forza persuasiva e che consegneranno poi alla storia banalità ed immortalità delineatrici di accurate analisi e scelte. Molto sofferta la confezione del film con la Sony Pictures a chiedere una prima sceneggiatura dell’omonimo libro redatto da Michael Lewis nel 2003 direttamente a Steve Zaillian, fresco di Oscar, poi revisionata da Steven Soderbergh ed infine rimodellata da AaronSorkin in sintonia con Bennet Miller dietro la cinepresa. Inoltre, dopo aver usato il Blair Field, il DodgerStadium e l’Oakland AlamedaColiseum per le riprese esterne, tutti gli interni sono stati accuratamente ricostruiti presso i Sony Studios di Culver City. L’argomento non era banale, anzi essendo una storia vera non poteva debordare più del dovuto. Qui vi è stata la precisa ed esclusiva responsabilità del regista che ha edulcorato o tratteggiato il diorama dello sceneggiatore al fine di provocare l’interesse visivo dello spettatore anche senza rispettare le peculiarità. Certo nel film Moneyballil giovane Billy Beane gira la mazza in un modo tale che non avrebbe affascinato alcun scout e quindi giusta la sua scelta interpretativa di cambiare ruolo, tuttavia in una delle scene tagliate nella versione italiana il manager interpretato da un Philip Seymour Hoffman, un po’ teso nel ruolo, dice a Billy che volentieri l’avrebbe allenato. Due visioni sfumate che permetteranno al regista Miller di ben evidenziare quasi con un fermo immagine la complessa idea del non più necessario parere degli scout soppiantati egregiamente dall’attenta analisi di una emergente sebermetrica, scienza statisticamente esatta, fornita dal freddo cervello del computer,ma come tale priva del calore umano. Recita il sottotitolo del libro di Michael Lewis : The Art of WinninganUnfair Game (L’Arte di vincere un gioco sleale) forse la dice lunga sul nuovo approccio interpretativo di questo baseball ultracentenario. Comunque sia il libro, meritevole di essere letto per capire meglio il cambiamento che sta avendo il modo di giocare a baseball, sia il film, generosamente nominato per sei premi Oscar tra cui il miglior attore ed il migliore film, hanno riscosso indubbiamente un eccezionale successo.
Michele Dodde