L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO
LA BAMBINA DI AUSCHWITZ di Tova Friedman e Malcolm Brabant
Traduzione a cura di: Andrea Russo
“La bambina di Auschwitz” di Tova Friedman e Malcom Brabant è un libro che emerge dal diluvio di saggistica e finzione, a volte difficili da distinguere, legati all’Olocausto.
Inclusi nella marea di libri sull’Olocausto, quelli con Auschwitz nel titolo portano un sovraccarico emotivo da parte del lettore; ci sono tatuatori di Auschwitz, sarti, sorelle, persino cantanti. Auschwitz, in molti casi, è un espediente commerciale per vendere libri.
Quindi, ammetto, ho avuto sensazioni contrastanti davanti a “La bambina di Auschwitz”, finché non ho iniziato a leggerlo.
Tova Friedman (nel libro è Tola Grossman, il suo vero nome fino a quando, ormai adulta, decise di cambiare nome in Tova per sembrare più israeliana) era una bambina di cinque anni quando entrò nel famigerato campo di concentramento nell’estate del 1944; Malcom Brabant è un ex corrispondente di guerra molto quotato.
La collaborazione tra i due è perfetta, poiché Brabant supporta i ricordi fanciulli della Friedman con ricerche accurate e precise.
Questo è il racconto della realtà, degli orrori dell’Olocausto portati in vita, tremendamente, dal punto di vista di una bambina che riusciva a malapena a leggere o riconoscere i numeri. Conosceva il suo, però: il numero tatuato sul braccio al campo.
Si potrebbe pensare che il ricordo di una persona nata nel 1938, poco prima dello scoppio della guerra, sia ingannevole e inaffidabile.
Eppure la narrazione ben congegnata chiarisce come molti fatti vissuti da Tola fossero talmente orribili da rimanere impressi nella sua giovane mente. Ovviamente non avrebbe saputo dire dove era stata in un determinato giorno o data, ma l’impeccabile ricerca di Brabant ha fatto sì di collocarla esattamente.
A distinguere questo dal solito libro di memorie sull’Olocausto c’è il ritratto di Reizel, l’indomabile madre di Tola, che attraverso una combinazione feroce di determinazione e capacità quasi soprannaturale di contrastare i nazisti, ha sempre protetto la sua bambina.
Il libro è pieno di conversazioni ricreate tra Reizel e la sua bambina, con Reizel che istruisce Tola a non muoversi, a non respirare, a rannicchiarsi vicino a un cadavere e a stare ferma, a non stabilire un contatto visivo con nessun nazista.
Questa madre è una vera tigre, è il coraggio dell’amore portato all’estremo. C’è un’immagine straziante quando madre e figlia vengono spinte sul treno per Auschwitz e una compagna di viaggio chiede, meravigliata, se può toccare Tola: aveva perso i suoi tre figli nella “Kinderselektion”.
Altro elemento distintivo è la riscoperta, da parte di Tova, della testimonianza oculare di suo padre trascritta nel libro Yizkor della sua città natale Tomaszów Mazowiecki, in Polonia.
Il libro contiene fotografie e tributi ai morti, scritti principalmente in yiddish ed ebraico. I libri Yizkor furono un tentativo postbellico da parte dei sopravvissuti di ricostruire e onorare la storia che i tedeschi cercarono in tutti i modi, ma invano, di cancellare.
Machel Grossman, il padre di Tola, era un membro delle forze di polizia ebraiche nel ghetto di Tomaszów Mazowiecki, scrisse 17 pagine del libro Yizkor della sua comunità. Tova Friedman e Malcom Brabant sono stati in grado di ricostruire molte delle atrocità accadute agli ebrei di Tomaszów Mazowiecki seguendo la testimonianza del padre.
Propriamente parlando, questo libro dovrebbe avere un altro titolo, dal momento che Tola e i suoi genitori (entrambi sopravvissuti) non entrarono ad Auschwitz fino al 1944, alla fine della guerra.
Ma Tola ebbe un’esperienza eccezionale, diventando uno dei pochissimi ebrei, e quasi certamente unica tra i bambini, ad entrare in una camera a gas di Auschwitz, per poi uscirne viva, apparentemente a causa di un errore amministrativo (senza precedenti) da parte dei nazisti. Quindi si potrebbe intitolare “Figlia di Auschwitz” interpretando questa come una sua seconda nascita.
Nonostante le terribili circostanze in cui Tova è nata e cresciuta, ha continuato a credere in un Dio che insegnava all’umanità la differenza tra il bene e il male e aveva concesso il libero arbitrio a conseguenza del quale “l’uomo può scegliere di seguire un sentiero oscuro”.
Sebbene i resoconti del sadismo nazista e delle crudeltà perverse rendano il libro “faticoso” da leggere, non bisogna ignorare o sorvolare sulle atrocità subite dalle vittime e dai sopravvissuti per mano dei nazisti e dei loro fin troppo volenterosi complici europei.
Tova afferma che per i sopravvissuti era normale sentirsi in colpa per essere scampati alla morte quando tanti membri della loro stessa famiglia e molti loro amici morivano.
Coloro che sono sfuggiti alla fame, alle torture, alle marce forzate, alle sparatorie, alle camere a gas e ai forni di Auschwitz hanno nascosto i loro tatuaggi per la vergogna, perché ironicamente si sentivano in colpa per essere sopravvissuti. Ma negli ultimi anni, Tova e gli altri sopravvissuti sono emersi dall’ombra mostrando le loro braccia tatuate per metterci in guardia dal partecipare a una complicità del silenzio di fronte al male.
Anche se Tola e i suoi genitori sono sopravvissuti, le loro lotte non sono finite dopo i campi. Hanno continuato ad affrontare l’antisemitismo e hanno lottato per reinserirsi nella società. In uno dei passaggi più inquietanti, viene descritto l’incubo ricorrente di “camminare tra i cadaveri… dopo di che un ulteriore sonno è impossibile”.
La storia di Tola ci insegna che le armi da guerra non sono solo proiettili e bombe, ma lo sono anche resistenza, resilienza, speranza e l’indomabile volontà di sopravvivere.
Tova ha messo in pratica la sua convinzione che la sopravvivenza non è sufficiente, bisogna imparare a vivere di nuovo se non altro per insegnare alle generazioni future le lezioni dell’Olocausto. La parola d’ordine “Mai più” deve essere più di uno slogan; deve servire come una promessa mantenuta, per il bene dei nostri figli e delle generazioni future.
Una testimonianza commovente, straziante, potente: una lettura obbligata.