L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO
QUANDO L’IMPERATORE ERA UN DIO di Julie Otsuka
Scritto dalla scrittrice nippo-americana Julie Otsuka “Quando l’imperatore era un dio”, è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2002 e in Italia nel gennaio del 2013.
Il libro racconta di una storia conosciuta da pochi, siamo nel 1942 negli Usa, l’America è in guerra contro la Germania, l’Italia e il Giappone e tutta la comunità nipponica americana viene deportata in campi d’internamento. Una storia emblematica di una famiglia in cui i protagonisti sono una “mamma”, un “papà”, una “bambina” e un “bambino”, l’autrice non dà nomi propri ai personaggi. Una storia così privata ma simbolicamente universale, un resoconto duro, tragico ma, allo stesso tempo, ricco di coraggio e speranza.
Di seguito un brano: «Al crepuscolo il cielo diventava rosso sangue, e sua sorella lo portava oltre l’ultima delle baracche per vedere il sole tramontare dietro le montagne. “Guarda. Non guardare. Guarda. Non guardare”. Era così che bisognava guardare il sole, gli diceva. Se lo fissavi troppo a lungo diventavi cieco.
Nell’ultima luce rossastra si indicavano a vicenda le cose che vedevano: un cane che inseguiva un porcospino, una minuscola conchiglia rosa, il guscio di uno scarabeo, una colonna di formiche di fuoco in marcia sulla sabbia. Se erano fortunati riuscivano a vedere la signora portoghese passeggiare lungo la recinzione con il marito, Sakamoto, o la signora con il turbante bianco – aveva perso tutti i capelli sul treno, avevano sentito dire, nel giro di una notte – oppure l’uomo con il braccio atrofizzato che abitava nel blocco 7. Se erano molto fortunati, l’uomo con il braccio atrofizzato poteva addirittura alzare quel braccio per salutarli.
Una sera mentre camminavano, il bambino prese sua sorella per un braccio. “Cosa c’è?” chiese lei.
Lui si toccò il polso. “L’ora” rispose. “Dimmi che ore sono”.
Lei si fermò e guardò l’orologio come se non lo avesse mai visto. “Sono le sei” disse.
Il suo orologio segnava le sei da settimane. Aveva smesso di caricarlo il giorno in cui erano scesi dal treno.
“Cosa staranno facendo a casa?”
La bambina guardò un’altra volta l’orologio e poi alzò lo sguardo al cielo, come se stesse pensando. “In questo momento” disse, “scommetto che si stanno divertendo”. Poi riprese a camminare.
E il bambino immaginò: le strade alberate al tramonto, i prati verde scuro, i marciapiedi, i bambini che lanciavano la palla in giardino, le bambine che giocavano alla campana, le madri che sfilavano le casseruole dal forno con i guantoni rosa, i padri che irrompevano in casa con la loro lucida valigetta nera, gridando: “Tesoro, sono a casa! Tesoro, sono a casa!”
Quando pensava al mondo esterno erano sempre le sei. Di mercoledì o giovedì. L’ora di cena in tutta l’America».