L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO
I NO CHE AIUTANO A CRESCERE di Asha Phillips
Questa settimana consigliamo un saggio, pubblicato nel 2000, della psicoterapeuta britannica Asha Phillips.
Uno dei maggiori problemi che incontrano i genitori moderni riguarda le regole e le limitazioni da dare ai figli. In alcune occasioni è necessario porre precisi confini al bambino o all’adolescente. Ovviamente non esiste alcuna formula magica da applicare in ogni situazione, ma sicuramente questo saggio, se letto in modo razionale, è un buono spunto per ragionare e approfondire tematiche che quotidianamente mettono in crisi i genitori. Dire di no, infatti, è una parte fondamentale del rapporto genitori-figli, a volte il no è necessario per uno sviluppo armonioso della personalità in quanto i limiti sono parte della vita.
Di seguito un piccolo brano tratto dal libro: «Dire di no è un modo di comunicare che siete un essere distinto. I primi passi verso questa operazione di separazione sono importantissimi. Inizialmente la capacità di un neonato di cavarsela da solo è molto limitata. A differenza di altri mammiferi l’essere umano rimane a lungo estremamente dipendente. Se un genitore risponde subito a qualsiasi pianto o a qualsiasi comunicazione, il neonato può addirittura credere di non essere distinto da lui. E’ a disagio, chiama e prima ancora di poter capire cosa sta succedendo, ecco il viso del papà o della mamma che gli sorride sopra la culla. Se le cose vanno sempre così il bambino può non rendersi conto che i genitori hanno una vita propria. Winnicott scrive: “Un adattamento completo assomiglia alla magia, e l’oggetto che si comporta in modo perfetto non è nulla in più che un’allucinazione”. Se c’è un momento di vuoto, un intervallo, l’attesa stabilisce nella mente del bambino la realtà della persona che arriva quando lui chiama.
Il genitore perfetto non esiste. L’idea di poter soddisfare ogni bisogno del bambino e di potergli risparmiare ogni sofferenza finirebbe in realtà per produrre un individuo infelice e mal adattato. Non lo porterebbe a vivere in un mondo abitato dagli altri; inizialmente il mondo sarebbe un regno magico di cui egli è il re, ma con l’andare del tempo si trasformerebbe in un luogo molto solitario e irreale. Mi viene in mente la storia del principe Siddhartha, a cui i genitori volevano risparmiare la vista di qualsiasi forma di bruttura e sofferenza. Lo tennero rinchiuso nel loro splendido palazzo, ma tutto il loro potere e la loro ricchezza non bastarono a proteggerlo, perché un giorno egli andò nel mondo, scopri la sofferenza degli altri e divenne il ‘Buddha’.»