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L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO –  “UNA DONNA”

L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO –  “UNA DONNA”

“UNA DONNA”

Romanzo autobiografico di Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, pubblicato nel 1906.

Una specie di diario introspettivo in cui la scrittrice rievoca le vicende della propria vita dalla fanciullezza fino alla maturità.
Un libro scritto all’inizio del Novecento ma che affronta tematiche estremamente attuali: un marito padrone e l’eterno conflitto tra l’essere madre e donna, un esercizio di autoanalisi che costringe il lettore a numerose riflessioni. E’ stato il primo romanzo definito “femminista” ad essere pubblicato in Italia.

Di seguito un breve brano tratto dalle pagine del libro: «Perché nella maternità adoriamo il sacrificio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. È una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto della vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta. Allora riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e se una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità? Allora si incomincerebbe a comprendere che il dovere dei genitori s’inizia ben prima della nascita dei figli, e che la loro responsabilità va sentita innanzi, appunto allora che più la vita egoistica urge imperiosa, seduttrice.(…)

Per quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e più bella in essi la vita, devono esserci grati i figli, non perché, dopo averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo all’essere noi stessi…

Quella notte non dormii. Il confuso problema di coscienza intravisto la prima volta a Roma, mi si imponeva ora con una lucidità implacabile. E per giorni, per settimane maturai nello spirito ciò che in quella notte avevo veduto.

Avevo formulata la mia legge. Essa avrebbe agito, mi avrebbe compenetrata, sarebbe diventata istinto, atto, e un giorno senza sforzo l’avrei seguita, come la rondine che segue le correnti della primavera.

Esteriormente ero più calma, in certi momenti l’idea si impossessava tanto di me, che io non la consideravo più se non in astratto, senza applicarla al mio caso, tanto era limpida e naturale nella sua verità, tanto era lontana dalla pratica mia e di tutti».

redazione.lecceoggi@gmail.com

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