L’ANGOLO DEDICATO AL LIBRO
SULLA STRADA di Jack Kerouac
Questa settimana consigliamo il romanzo “Sulla strada”, scritto nel 1951 da Jack Kerouac. Un romanzo autobiografico in cui il protagonista, Sal Paradise, giovane newyorkese racconta una serie di viaggi, svolti negli anni 40, con un gruppo di amici.
Viaggi in autostop e in autobus lungo le strade americane alla ricerca di un sogno, in fuga dalla quotidianità e dal senso di inadeguatezza che li opprime. Una storia in cui la fuga dalla realtà e la ricerca di un sogno si inseguono disperatamente e si completano a vicenda.
E’ un libro che è stato emblema della beat generation americana, cioè della generazione degli anni cinquanta che rifiuta le regole, sperimenta stili letterari nuovi, si avvicina a nuove religioni e aderisce a nuovi orientamenti sessuali.
Di seguito un breve brano tratto dal romanzo: «La prima volta che incontrai Dean, avevo appena superato un periodo difficile di cui non mi prenderò la briga di parlarne, sennonché ebbe qualcosa a che fare con la sensazione da parte mia che tutto fosse morto. Con il suo arrivo ebbe inizio quella parte della mia vita che si potrebbe chiamare la mia vita lungo la strada. Prima di allora avevo spesso sognato di andare nel West per vedere il continente, sempre facendo piani vaghi e senza mai partire. Dean è il tipo perfetto per un viaggio.
Un giorno stavo bighellonando per la Città Universitaria e Chad e Tim Gray mi dissero che Dean abitava in un appartamento nell’East Harlem. Andai a trovarlo. Era semplicemente un ragazzo tremendamente eccitato di vita, e quantunque fosse un imbroglione, lo era solo perché così intensamente voleva vivere ed entrare in rapporto con persone che altrimenti non gli avrebbero assolutamente dato retta. Ci capimmo su molte cose e ci mettemmo d’accordo per andare nel West, una volta o l’altra. Era l’inverno del 1947. Tutto quel pazzo sconvolgimento d’ogni cosa, che stava per verificarsi, ebbe inizio allora e avrebbe travolto tutti i miei amici e tutto quello che mi era rimasto della mia famiglia in una grossa nube di polvere sopra la Notte d’America.
Correvamo insieme per le strade, assorbendo tutto in quella primitiva maniera che avevamo, e che più tardi diventò tanto più triste e ricettiva e vuota. Ma allora danzavamo lungo le strade leggeri come piume, e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che m’interessa, perché per me l’unica gente possibile sono quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali.
Poi venne la primavera, l’epoca dei viaggi per eccellenza, e tutti nella compagnia dispersa si prepararono a fare questo o quel viaggio. Io mi affannavo a lavorare al mio romanzo e quando arrivai a metà, mi preparai ad andare nel West per la primissima volta.
E fu così, veramente, che ebbe inizio tutta la mia esperienza della strada e le cose che stavano per capitare sono troppo fantastiche per non raccontarle.
Sì, e non era solo perché fossi uno scrittore e avessi bisogno di esperienze nuove che volevo conoscere Dean più a fondo, né perché la mia vita di perditempo nei giardini dell’Università avesse raggiunto il completamento del suo ciclo e fosse divenuta inutile ma perché, in certo modo, nonostante la diversità dei nostri temperamenti, egli mi appariva come un fratello da lungo tempo perduto. E nel suo modo eccitato di esprimersi io sentivo di nuovo le voci dei vecchi compagni e fratelli sotto il ponte, in mezzo alle motociclette, lungo i panni stesi dei vicini davanti alle soglie sonnolente nel pomeriggio, dove i ragazzi suonavano la chitarra, era uno scoppio sfrenato di americana gioia, il vento d’Occidente, un’ode dalle praterie, qualcosa di
nuovo, da lungo tempo profetizzato, da lungo atteso.»