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LE DONNE NELLA STORIA ELINOR OSTROM (1933 – 2012)

LE DONNE NELLA STORIA ELINOR OSTROM (1933 – 2012)

Segue da venerdì 26 maggio e venerdì 02 giugno 2023

Elinor Ostrom (Los Angeles7 agosto 1933 – Bloomington12 giugno 2012)

Quando non vi sono le condizioni per un’appropriazione privata, deve essere semmai lo Stato ad assumere la proprietà pubblica. Solo i beni così abbondanti da non avere valore economico possono essere lasciati al libero accesso; per tutti gli altri occorre definire un regime di diritto di proprietà privato o pubblico.
Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l’esistenza di una “terza via” tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le common properties non degenerino. Ostrom prende le mosse dal lavoro di uno di quei precursori-anticipatori, troppo eterodossi per essere apprezzati nell’epoca in cui scrivevano: lo svizzero tedesco, naturalizzato americano, Ciriacy-Wantrup, che ancora negli anni Cinquanta osservava che vi sono nel mondo molti esempi di proprietà comuni che sfuggono al destino preconizzato da Hardin, come ad esempio le foreste e i pascoli alpini. Distingueva appunto le “common pool resources” (res communis omnium) dai “free goods” (res nullius): nel primo caso, pur in assenza di un’entità che possa vantare diritti di proprietà esclusivi, a fare la differenza è l’esistenza di una comunità, l’appartenenza alla quale impone agli individui certi diritti di sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere alla sua gestione, manutenzione e riproduzione, sanzionati dalla comunità stessa attraverso l’inclusione di chi ne rispetta le regole e l’esclusione di chi non le rispetta.
Su queste fondamenta poggia l’edificio concettuale della Ostrom, la cui opera più importante, Governing the Commons, sviluppa una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione comunitaria possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Analisi che intreccia con grande profondità e intelligenza la teoria delle istituzioni, il diritto, la teoria dei giochi, per lambire quasi le scienze sociali e l’antropologia.

Il campo di applicazione delle ricerche sviluppate in questo filone può far storcere il naso: dalle risorse di caccia degli Indiani d’America alle comunità di pescatori africani, o alla condivisione delle acque sotterranee in qualche remoto sistema agro-silvo-pastorale nepalese. Ma come spesso succede, applicare il concetto di base a un oggetto semplice consente di mettere a fuoco concetti e teorie di portata molto più generale.
Non a caso, la lezione della Ostrom è di particolare importanza oggi, a proposito dei global commons, come l’atmosfera, il clima o gli oceani. Per applicare la ricetta di Hardin a questi beni, infatti, ci mancano sia un possibile proprietario privato, sia un soggetto statale in grado di affermare e difendere la proprietà pubblica. Il diritto internazionale, in questa prospettiva, altro non è che un sistema di governance applicato a un bene comune, e non vi è soluzione alternativa alla cooperazione tra i popoli della Terra per raggiungere un qualsiasi risultato in termini di lotta ai cambiamenti climatici.

Ma è importantissima anche in quei casi, si pensi alla falda acquifera sotterranea e più in generale alla regolamentazione delle fonti di impatto ambientale diffuse, in cui un principio di proprietà pubblica è in astratto possibile e nei fatti esistente, almeno sulla carta; ma la sua attuazione effettiva si scontra, da un lato, con l’enormità dei costi amministrativi (in Italia ci sono centinaia di migliaia di pozzi privati che bisognerebbe monitorare per applicare la norma), dall’altro con la difficoltà politica di vietare comportamenti che sono prassi consolidate percepite come diritti.

Il lavoro di Ostrom trova punti di contatto con la teoria dei giochi, in particolare con quei filoni di ricerca che attraverso il concetto di gioco ripetuto mostrano come gli esiti distruttivi e socialmente non ottimali (equilibri di Nash, di cui la stessa tragedy of the commons è in fondo un esempio) possano essere evitati se nella ripetizione del gioco gli attori scoprono il vantaggio di comportamenti cooperativi, che a quel punto possono essere codificati in vere e proprie istituzioni. È interessante anche notare come il comunitarismo della Ostrom trovi qui un punto di contatto con l’anarchismo antistatale; ma Ostrom enfatizza piuttosto l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e rispettate in quanto percepite come giuste e non per un calcolo di convenienza.

La Ostrom si è mai occupata di finanza, ma è quanto meno singolare la coincidenza del premio con la ri-scoperta dell’importanza del capitale sociale e delle regole condivise per il buon funzionamento dei mercati. Forse anche la crisi finanziaria che stiamo vivendo altro non è che un esempio di saccheggio di una proprietà comune, la fiducia degli investitori, per ricostruire la quale servirà qualcosa di più di una temporanea iniezione di capitale nel sistema bancario.

Fine

luciani.2006@libero.it

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