LE DONNE NELLA STORIA: MATA HARI
Segue da venerdì 08 luglio 2022
MATA HARI, pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle (Leeuwarden, 7 agosto 1876 – Vincennes, 15 ottobre 1917)
La guerra e lo spionaggio
Siamo nel 1914 ed è in corso la Grande Guerra quando Mata Hari cerca di raggiungere la Francia dove giunsero i suoi bagagli ma non lei, che, trattenuta alla frontiera fu rimandata a Berlino. Su consiglio di un industriale olandese che le offrì il denaro per il viaggio si portò a Francoforte dove ottenne, come Margaretha Geertuida Zelle, il visto per raggiungere Amsterdam
In Olanda divenne prima l’amante d’un banchiere e poi, del barone Eduard Willem van der Capellen, colonnello degli ussari. Il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano, di ottenere una scrittura da Djagilev. Alla scadenza del permesso di soggiorno, gennaio 1916, dovette fare ritorno nei Paesi Bassi.
A L’Aia il console tedesco Alfred von Kremer, l’avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di fornire informazioni sull’aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove si recava per far visita al suo ennesimo amante, un capitano russo ricoverato in ospedale. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla famosa spia Fraulein Doktor.
Sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese Mata Hari ottenne un permesso per recarsi a Vittel ma ricevette la proposta di entrare al servizio della Francia. Mata Hari accettò, chiedendo l’enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava. Iniziò così un pericoloso doppio gioco. Mentre viaggiava da Vigo verso L’Aia fu arrestata perché scambiata con una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca. Chiarito l’equivoco fu respinta in Spagna. Si recò a Madrid dove proseguì il “doppio gioco”, mantenendosi in contatto sia con l’addetto militare all’ambasciata tedesca, che con quello dell’ambasciata francese.
Scoperta nel suo “gioco” i tedeschi, usando un codice di comunicazione già noto ai francesi, misero questi ultimi a parte di quanto facesse Mata Hari. Di conseguenza, una volta rientrata a Parigi, come le era stato ordinato di fare, il 2 gennaio 1917, la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell’albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
Il processo
Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa. Poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non riuscì a giustificare agli occhi della Corte le somme – considerate dall’accusa il prezzo del suo spionaggio – che il van der Capelen, suo amante, le inviava dai Paesi Bassi, né le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, che tentò di giustificare come semplici regali. Dovette anche rivelare un particolare inedito, ossia l’offerta ricevuta in Spagna di lasciarsi ingaggiare come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, situazione che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia.
In pratica difesa da qualcuno ma abbandonata dai più Mata Hari sprofondava sempre di più nei gangli dell’inchiesta a suo carico che venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio della donna.
Il processo, tenuto a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio. Nulla di nuovo emerse nei due giorni di dibattimento: dopo l’appassionata perorazione del difensore Clunet, vecchio combattente e decorato, i giudici si ritirarono per decidere.
Dopo meno di un’ora venne emessa la sentenza secondo la quale l’imputata era colpevole di tutte le accuse mossele: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all’unanimità la suddetta Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte […] e la condanna inoltre al pagamento delle spese processuali». Quanto all’unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza, ma non per ogni capo d’imputazione, per alcuni dei quali il verdetto di colpevolezza non trovò l’unanimità. Alla lettura della sentenza, incredula per la pena, si limitò a ripetere “non è possibile, non è possibile…”.
L’istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione così come la domanda di grazia presentata al Presidente della Repubblica Poincaré.
Il 15 ottobre del 1917, blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare i dodici fanti che avevano il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il fucile caricato a salve. Dei dodici colpi, solo quattro la colpirono, uno sulla coscia, uno sul ginocchio, uno sul lato sinistro. Il quarto trafisse il cuore, uccidendola sul colpo; il maresciallo Pétey diede alla nuca un inutile colpo di grazia. Nessuno reclamò il corpo, che fu trasportato all’Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.
Ottavia Luciani
Fine