OPERAZIONE “ALL BLACK” I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE CONDOTTA DAI CARABINIERI DEL NOE
Nella mattinata di oggi i Carabinieri del Noe di Lecce e i militari della Guardia di Finanza del Comado Provinciale di Taranto, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti 13 persone (10 finite in carcere e 3 ai domiciliari), al sequestro di 2 automezzi e al sequestro per equivalente di più di 200mila euro, disposti dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo salentino, a carico di diverse persone ritenute responsabili di associazione per delinquere finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti; attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e reati connessi.
È stata applicata la misura cautelare in carcere a Roberto Scarcia, 66 anni, di Taranto; Luca Di Corrado, 32 anni, di Taranto; Davide D’Andria, 40 anni, di Taranto; Francesco Sperti, 56enne di Manduria; Claudio Lo Deserto, 65 anni di Lecce; Oronzo Marseglia, di 57 anni di San Vito dei Normanni ( Brindisi); Palmiro Mazzotta, 74 anni di Surbo, ma originario di Carmiano; Luca Grassi, 48 anni di Lecce; Salvatore Coscarella, 76 anni di Cosenza; Nestore Coseglia, 55 anni di Marano di Napoli.
Agli arresti domiciliari vanno, invece, Franco Giovinazzo, 31 anni di Siderno, (Reggio Calabria); Antonio Li Muli 51 anni di Palermo e Biagio Campiglia, 42 anni di San Pietro al Tanagro, (Salerno).
L’indagine, denominata “All Black”, vede 44 persone e una società campana di trattamento dei rifiuti indagate a vario titolo e deriva dalla riunione di due distinte attività investigative dei militari del Noe di Lecce e Torino e dei finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-finanziaria delle Fiamme gialle di Taranto.
Tutto ha preso il via nel maggio 2018 in seguito al sequestro di un autotreno, che aveva effettuato uno scarico illecito di rifiuti nelle campagne di Lombardore in provincia di Torino, svolto dai Carabinieri della Stazione di Leinì e dal Gruppo Forestali di Torino, a cui si sono affiancati dal mese di ottobre i colleghi del Noe sabaudo.
È stato individuato, quindi, un gruppo di faccendieri di Lecce e Taranto che, ognuno con il proprio ruolo e creando società fittizie dotate di autorizzazioni false, offrivano siti inesistenti per lo smaltimento, per tramite di una società di intermediazione del Piemonte, non iscritte all’albo dei gestori dei rifiuti.
Hanno così preso il via una serie di contatti, monitorati dai militari, tra gli intermediari e alcune aziende, site nel torinese e nel bresciano allo scopo di far confluire ingenti quantità di spazzatura in alcune località delle province di Lecce e Taranto.
Le difficoltà organizzative e i rischi nell’affrontare viaggi così lunghi ai rifiuti, hanno fatto insorgere contrasti tra gli organizzatori, causando la scissione tra i broker piemontesi e il gruppo leccese. Il sodalizio della Puglia, a questo punto, si è organizzato per creare un’altra direttrice di traffico, reperendo con successo produttori di rifiuti nell’area ben più accessibile del casertano e del reggino. Su questo nuovo itinerario, monitorata dai Carabinieri, si è sovrapposta un’attività della Guardia di Finanza di Taranto. Dopo i sequestri svolti dai Carabinieri nelle campagne di Lecce e Surbo, la Procura di Torino, ha ritenuto di stralciare gli esiti delle indagini sul “traffico pugliese”, per trasmetterli alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, competente per territorio.
L’Autorità Giudiziaria salentina, stava eseguendo attività investigative analoghe, condotte dalle Fiamme Gialle tarantine, che aveva permesso di fare emergere un traffico illecito, svolto, in modo sistemico, da un gruppo criminale che operava nel territorio jonico, attuato attraverso la predisposizione di autorizzazioni ambientali false, che attestavano in capo a una società di comodo, la disponibilità di impianti autorizzati per il trattamento dei rifiuti e, nello specifico, di siti abilitati allo stoccaggio.
Le investigazioni hanno permesso di ricostruire molteplici operazioni illecite di movimentazione di grosse quantità di rifiuti, urbani e industriali, anche pericolosi, che si originavano prevalentemente dalla Campania e dirette per lo sversamento in Puglia, in alcune località del tarantino e del leccese, smaltite o attraverso sversamento sul suolo, con successivo “tombamento”, o abbandonati all’interno di capannoni industriali in disuso e dati alle fiamme in un secondo momento.
Le operazioni illegali hanno coinvolto una pluralità di persone (produttori, trasportatori, intermediari, riceventi, deputati allo scarico e alla ricerca dei siti), che hanno fornito, ognuna per la propria parte, forme diverse di apporto, anche di natura tecnica.
L’attività di indagine ha documentato come lo smaltimento abbia generato un danno ambientale di proporzioni rilevanti, essendo state scaricate più di 600 tonnellate di rifiuti speciali, anche pericolosi, generando, inoltre, una concorrenza sleale tra le aziende produttrici dei rifiuti.
I motivi che hanno spinto gli indagati a organizzare il tutto diretto sul territorio pugliese sono da ricollegarsi a diversi fattori.
In primis la centralità di uno degli indagati che poteva vantare numerosi contatti con imprese produttrici di rifiuti che, alla luce delle difficoltà a utilizzare il mercato di sblocco privilegiato cinese, avevano necessità di reperire siti di smaltimento sul territorio nazionale.
In secondo luogo, la breve distanza tra le imprese e la destinazione dei rifiuti, che ha permesso al sodalizio di raggiungere due obiettivi importanti: contenere i costi di trasporto ed esporre gli autotrasportatori compiacenti a minor rischio di controllo da parte delle Forze dell’Ordine.
Per quanto riguarda l’origine dei rifiuti, composti da plastica, gomme, ingombranti, guaine catramate e fanghi, provenivano in massima parte da un’industria autorizzata al trattamento di Sparanise, in provincia di Caserta che, grazie a questo sistema, è riuscita da abbattere in modo importante i costi di gestione.
Complessivamente, infine, sono stati individuati e documentati nel corso dell’indagine 28 conferimenti illeciti per un totale complessivo di oltre 600 tonnellate di cui almeno 142 classificate come rifiuti pericolosi.