IL RESTAURO DELLA COLONNA DI PIAZZA SANT’ORONZO RIACCENDE ANTICHE RIVENDIZAZIONI
Il restauro della colonna su cui poggiava la statua di Sant’Oronzo, nella omonima piazza di Lecce è stato terminato da qualche giorno e, finalmente, essa è tornata in bella vista a farsi ammirare dai leccesi stessi e dai tanti turisti che si aggirano per la città.
Ancora non troneggia la statua del Santo protettore della città, custodita ormai all’interno del palazzo comunale, e la copia non è ancora pronta ma il ritorno della colonna nel suo fulgore all’attenzione dell’opinione pubblica mi induce a fare un poco di storia sul monumento, peraltro, oggetto di vecchie diatribe tra leccesi e brindisini.
Tra le due città che con Taranto formano il “Salento” o, come veniva denominato prima questo territorio, la “Terra d’Otranto” è esistito, ma è ormai anacronistico, un acceso campanilismo proprio a causa della “colonna” perché essendo una delle due colonne terminali della Via Appia (da Roma a Brindisi) secondo alcuni sarebbe stata trafugata dai leccesi.
La storia parla, invece, di un dono fatto ai leccesi, dopo che, il 20 novembre 1528, una delle due colonne brindisine, terminali della via Appia, crollò a causa di un forte terremoto e i vari pezzi marmorei rimasero abbandonati a terra per oltre un secolo.
Nel 1657, la terribile epidemia di peste, che disseminava morti in tutto il regno di Napoli, non toccò Lecce e Terra d’Otranto. A ricordo di questo evento su Porta Rudiae, una delle tre porte d’ingresso restanti, è eretta una statua del Santo.
I leccesi attribuirono lo scampato pericolo all’intercessione di Sant’Oronzo e, per questo, volendo innalzare un monumento al santo patrono, degno di tale nome, chiesero ai brindisini di utilizzare quei pezzi di colonna caduta, danneggiati e in stato di abbandono, disseminati per terra.
L’allora sindaco di Brindisi, Carlo Stea, acconsentì, decidendo di offrire i pezzi di colonna ai “cugini” leccesi.
Ed ecco nascere il motivo del contendere, infatti, il sindaco che gli successe, Giovanni Antonio Cuggiò, si rifiutò di consegnarli, fino a quando, il 2 novembre 1659, il vicerè di Napoli, conte Castrillo, ordinò che i resti della colonna potevano essere traportati a Lecce.
Nel 1666, l’architetto Giuseppe Zimbalo innalzò nella piazza principale di Lecce la statua di Sant’Oronzo, collocandola sulla colonna marmorea, che utilizzava i rocchi e il capitello della colonna brindisina, restaurati e rilavorati adeguatamente.
Non si è quindi trattato di un trasporto abusivo ma di un “dono di amicizia” dei brindisini ai leccesi, riconosciuto come tale proprio dalla decisione presa dal vicerè di Napoli.
Già questo dato basta a togliere qualunque attualità alla polemica, ma c’è da rilevare in più che i lavori resi opportuni dopo il crollo della colonna ed alcune varianti decise in corso d’opera hanno rese le due colonne molto dissimili e quindi non corrispondenti più a ciò che erano “due colonne terminali simili tra loro” ma due monumenti che insieme possono contribuire alla fratellanza (per fortuna imperante) tra Brindisi e Lecce. Unione che può portare ad un migliore e più proficuo sviluppo del territorio in particolare se Taranto, lusingato da Bari, resterà legato alla sua antica natura di città facente parte della regione Salento.