Rimborso retta ricovero in RSA dei malati di Alzheimer
Importante ordinanza della cassazione sulla gratuità della retta quando siano inscindibili la parte sanitaria e quella assistenziale. Nulla paga il malato di Alzheimer alla Rsa quando terapia e assistenza sono inscindibili. Conta non la prevalenza di una prestazione sull’altra, ma la strumentalità necessaria: intervento a carico del servizio sanitario nazionale se la struttura garantisce un piano di cura personalizzato
Spesso la Suprema Corte viene investita della problematica se siano dovute o meno dal paziente o dai suoi parenti la tariffa, per le spese per i malati di Alzheimer e non solo. Per l’ennesima volta, la Cassazione ha confermato quanto sempre sostenuto dallo “Sportello dei Diritti”: non è dovuta la retta per i malati di Alzheimer quanto siano inscindibili l’aspetto sanitario e quello assistenziale. Nel dettaglio il malato Alzheimer nulla deve pagare alla Rsa, residenza sanitaria assistenziale, come integrazione della retta se terapia e assistenza per lui risultano inscindibili: l’intervento va tutto a carico del sistema sanitario nazionale laddove la struttura, convenzionata o accreditata, garantisce all’assistito il programma terapeutico attraverso il servizio integrato, secondo un piano di cura personalizzato. Non conta, dunque, che le prestazioni sanitarie erogate all’anziano siano prevalenti rispetto a quelle assistenziali mentre è necessario che le seconde siano legate alle prime da un nesso di strumentalità necessaria.
È quanto emerge dall’ordinanza 26943/2024 pubblicata il 17 ottobre 2024 dalla terza sezione civile della Cassazione. È accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito il ricorso proposto dalla figlia della paziente, che pretende la restituzione di circa 26 mila euro, chiedendo che sia dichiarata la nullità ex articolo 1418 Cc dell’impegno assunto di versare la retta alla Rsa dove è ricoverata l’anziana madre, partecipando alle spese per le prestazioni socio-sanitarie nella misura del 50 per cento. Trova ingresso la censura secondo cui affinché le spese siano tutte a carico del servizio sanitario nazionale è sufficiente che al malato di Alzheimer o affetto da demenza debbano essere erogate prestazioni sanitarie collegate: la madre della signora è afflitta da altre patologie, dall’artrosi all’ipertensione, passando per i postumi di un intervento di ernioplastica addominale. Il punto è che quando le prestazioni sanitarie non possono essere eseguite se non congiuntamente alle attività di natura socio-assistenziale non è possibile distinguere il rispettivo onere economico: prevale in tal caso la natura sanitaria del servizio laddove le attività di natura diversa devono ritenersi dirette alla complessiva prestazione che deve essere erogata a titolo gratuito. Ad avviso degli Ermellini, infatti, di cui ha
scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, rincarano la dose hanno spiegato che “L’errore compiuto dai giudici del merito, dunque, sta nel ritenere che la soluzione della controversia stia nello stabilire la prevalenza tra prestazioni socio-assistenziali da una parte e sanitarie dell’altra sulla base dei documenti in atti: viola invece una regola di diritto la Corte d’appello di Genova che omette di valutare il rapporto di strumentalità necessaria fra i due tipi di attività”.
Nonostante questo numerosi Comuni, Case di Riposo, RSA e via discorrendo continuano a chiedere ai pazienti o ai parenti rette non dovute. Non resta che auspicare che i Tribunali e le Corti territoriali si adeguino ai dicta della Suprema Corte.