SCATTANO GLI ARRESTI DOMICILIARI PER UN MAGISTRATO E TRE COMMERCIALISTI
Ma la lista degli interessati dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza sono molti di più.
L’inchiesta ruota attorno ad un presunto giro di nomine e incarichi pilotati al Tribunale fallimentare di Lecce,
Si parla anche di regali e utilità, come una collana tennis che il giudice avrebbe ricevuto in cambio di favori.
Sono state eseguite dalla Guardia di Finanza le misure cautelari che hanno coinvolto, oltre al magistrato presso il tribunale di Bologna Pietro Errede, 57/enne originario di Monopoli, all’epoca dei fatti contestati in servizio presso il tribunale civile di Lecce, anche tre commercialisti, Massimo Bellantone, 57, di Guagnano, Marcello Paglialunga, 53, di Nardò, ed Emanuele Liaci, 55, di Gallipoli.
L’ordinanza emessa dal gip Salvatore Pignata del tribunale di Potenza è la conseguenza di quanto contenuto nell’ambito del fascicolo d’inchiesta avviata il 30 giugno 2022, in merito ad incarichi assegnati nel Palazzo di via Brenta, in cambio di favori e regali, e nel quale sarebbe in seguito confluito un secondo procedimento a carico di un’altra toga leccese.
Tra gli altri indagati – in tutto sono dieci ma il numero è maggiore – cui si fa riferimento nell’ordinanza di custodia cautelare, ci sono gli avvocati Antonio Casilli, 60 anni, di Lecce e Giuseppe Evangelista, 58, di Lecce, il geometra Antonio Fasiello, di 68 anni, residente a Vernole e un imprenditore di Surbo, Eusebio Giovanni Mariano, di 51 anni.
I reati, a vario titolo, sono di tentata concussione, tentata estorsione, estorsione consumata e diverse ipotesi di corruzione in atti giudiziari.
Nei confronti degli arrestati, inoltre, è stato eseguito anche un sequestro preventivo, nella forma diretta o per equivalente, pari al prezzo del reato, o al profitto illecito conseguito.
“Un uso strumentale dell’attività giudiziaria utilizzata per procacciare utilità personali non solo al magistrato (vacanze, preziosi, device, feste, ecc), ma anche ai professionisti che ruotavano intorno a lui che beneficiavano degli incarichi dati dallo stesso magistrato e che per questo lo ricambiavano”: è il quadro dipinto dal procuratore di Potenza Francesco Curcio che ha già annunciato in una nota ufficiale l’intenzione di proporre appello al Tribunale del Riesame contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di non riconoscere ulteriori episodi di corruzione in atti giudiziari e tentata concussione che pure venivano contestati.
Le indagini, avviate nel settembre 2021 sulla base di circostanziate denunce, sono state condotte col supporto del personale del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce che eseguirono diverse perquisizioni nei riguardi degli indagati, procedendo al sequestro di una copiosa documentazione (materiale cartaceo e dispositivi informatici).
Oltre alle attività d’intercettazione e alle investigazioni informatiche e bancarie, un apporto essenziale a definire il quadro indiziario è stato offerto dalle dichiarazioni di alcuni testi e parti offese.
“Le dinamiche, oggetto delle presenti indagini, complessivamente hanno disvelato, a livello di gravità indiziaria e ferma restando la doverosa verifica nelle successive fasi processuali, non solo un abuso delle pubbliche funzioni da parte del giudice Errede, non solo l’approfittamento della condizione di vulnerabilità di soggetti sottoposti ad amministrazione giudiziaria in sede di Misure di Prevenzione, ma, anche, un meccanismo di reciproco scambio, fondato, da una parte, sulla assegnazione degli incarichi maggiormente remunerativi da parte del giudice a vari professionisti (curatori, amministratori/ controllori giudiziari e/ o coadiutori) e, dall’altra, sull’ottenimento da parte dello stesso di regalie e altre utilità”, si legge in un successivo passaggio del comunicato stampa firmato dal procuratore Curcio.
Tra gli episodi finiti al vaglio di investigatori e inquirenti ci sarebbe la vicenda dei rolex. A essere chiamati in causa sarebbero Bellantone e l’avvocato Russi che, all’insaputa del magistrato, avrebbero costretto soggetti privati le cui aziende erano sottoposte ad amministrazione giudiziaria a pagare loro il corrispettivo di 20mila euro per un Rolex, in realtà già acquistato realmente dallo stesso giudice a un prezzo più conveniente, senza di fatto poi corrispondere la somma a quest’ultimo.