SMANTELLATA BANDA DI TRAFFICANTI DI DONNE DA AVVIARE ALLA PROSTITUZIONE
L’operazione “Nigeria” brillantemente condotta dai ROS di Lecce
Questa mattina i Carabinieri del ROS e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Lecce hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP di Lecce su richiesta locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 5 cittadini nigeriani – tre donne e due uomini – indagati per associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù a fini sessuali, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione in stato di clandestinità e sfruttamento della prostituzione. Gli interventi hanno interessato le province di Verona, Sassari e Roma e sono stati eseguiti nell’ambito di un’attività che vede coinvolti altri nove cittadini nigeriani indagati sul territorio nazionale.
I provvedimenti sono scaturiti da un’articolata indagine che ha avuto origine a seguito della denuncia presentata da una donna nigeriana riguardante il sequestro della figlia minore, avvenuto in Nigeria presso il collegio dove la ragazza studiava ed alloggiava.
A seguito del rapimento, perpetrato a dire della denunciante da un’organizzazione criminale che aveva l’interesse ad inserire giovani nigeriane nel mondo della prostituzione, i sequestratori avevano richiesto il pagamento di un riscatto di trentamila euro per la liberazione della ragazza.
L’evoluzione investigativa ha successivamente permesso di verificare che la minorenne aveva deciso autonomamente di intraprendere il viaggio per raggiungere l’Italia affidandosi ai referenti della compagine criminale indagata.
Monitorando le comunicazioni dei presunti rapitori in contatto con la denunciante, i Carabinieri hanno progressivamente individuato una articolata organizzazione criminale di matrice nigeriana costituita da più cellule con basi logistiche sia nella nazione d’origine sia nel nord Africa ed in particolare in Libia nelle città di Sebha, Sabratha e Tripoli, dove operano stabilmente referenti in accordo con bande criminali locali e di altre nazionalità, dedite alla gestione di giovani vittime destinate allo sfruttamento sessuale da far giungere anche in Italia tramite i flussi migratori clandestini dal continente africano a quello europeo attraverso collaudate rotte di viaggio.
Le indagini hanno consentito di individuare sia la figlia della denunciante, che è stata tratta in salvo, sia numerose altre ragazze sbarcate in tempi diversi sulle coste italiane e destinate al mercato della prostituzione, alcune delle quali hanno deciso di sottrarsi alle maglie dell’organizzazione e di rendere dichiarazioni che hanno riscontrato pienamente la ricostruzione investigativa dei Carabinieri.
Nel documentare l’attività della struttura criminale, l’indagine ha permesso di individuare le fasi salienti del traffico delle migranti, che si estrinseca:
nel reclutamento, effettuato in Nigeria ad opera di soggetti sovente legati da vincoli di parentela con i referenti dell’organizzazione presenti in Italia. Il reclutamento viene effettuato in ragione dell’età e delle fattezze fisiche delle ragazze, nonché della loro eventuale verginità, caratteristiche che venivano documentate anche attraverso fotografie ritraenti le vittime;
nel trasporto delle donne, insieme ad altri clandestini che utilizzano le stesse rotte, attraverso il Niger e quindi verso la Libia ove, nella città di Sebha, tutti i migranti vengono trattenuti in attesa di essere trasferiti sulla costa e di salpare alla volta dell’Italia. In attesa dell’imbarco, centinaia di uomini e donne vengono ammassati in edifici fatiscenti, sorvegliati da uomini armati al soldo delle varie organizzazioni criminali e fatti oggetto di umiliazioni psicologiche, violenze fisiche e ridotti, di fatto, ad una condizione di assoluto assoggettamento, tipico della riduzione in schiavitù. Sovente le donne subiscono violenze sessuali in cambio del cibo e della loro sopravvivenza. Alcuni passaggi contenuti nelle dichiarazioni delle denuncianti consentono di comprendere in modo efficace le difficoltà del viaggio, effettuato con mezzi di fortuna, a volte con l’utilizzo di biciclette da parte di due o addirittura tre persone contemporaneamente per attraversare il confine con il Niger con l’ordine perentorio di abbandonare nella savana l’eventuale passeggero che, stremato dalla stanchezza, non riesce a continuare il viaggio. Drammatici anche i racconti dei momenti dell’attraversamento del deserto al confine tra Niger e Libia, quando i clandestini più deboli o privi di sensi vengono spinti fuori dai camion in corsa. I gruppi dei migranti superstiti, giunti sulle coste libiche, restano in balia di ulteriori sequestri di persona ad opera di squadre di “ribelli” armati che li utilizzano come “merce di scambio” per la successiva rivendita ad altre organizzazioni criminali che si occupano del trasporto. Gli esponenti di tali squadre sono in contatto con alcuni non meglio identificati agenti della polizia libica ed a loro consegnano quegli individui che non offrono garanzie di particolare remuneratività. Da alcune delle dichiarazioni è emerso che i clandestini vengono rapiti anche dopo aver intrapreso il viaggio per l’Italia a bordo dei gommoni e riportati sulle coste libiche per essere successivamente rivenduti;
nel recupero dei migranti dai centri d’accoglienza ove vengono condotti una volta giunti in Italia, attuato con la complicità del migrante e di altri soggetti assoldati da chi ha interesse a far giungere il migrante sul territorio nazionale. Ad alcuni di questi l’organizzazione procaccia in Italia dei documenti falsi e li accompagna verso la destinazione finale, spesso rappresentata dal luogo ove già risiedono i familiari. Diverso il destino delle donne reclutate per essere sfruttate sessualmente, affidate alle c.d. “Madame”, spesso ex prostitute divenute organiche all’organizzazione, che le avviano all’attività di meretricio controllando costantemente la loro condotta anche con mezzi coercitivi.
Con specifico riguardo al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina delle donne da avviare alla prostituzione, l’indagine ha documentato come le ragazze, solitamente consapevoli della loro sorte, vengano sottoposte a riti “voodoo” già nel momento in cui decidono di affidarsi all’organizzazione criminale per intraprendere il lungo viaggio dal loro paese d’origine. Il rituale in questione assoggetta le vittime che, legate psicologicamente da una sorta di “obbligo spirituale”, si attengono fedelmente alle prescrizioni impartite dai referenti dell’organizzazione per evitare eventi nefasti in loro danno e delle loro famiglie. I riti “voodoo” vengono effettuati da persone chiamate “Native Doctor” o, in gergo, “Babalawoo” in presenza della donna o anche in sua assenza, tramite l’utilizzo di un’immagine dell’interessata.
Giunte in Italia le ragazze passano sotto il controllo delle “Madame”, le quali, attraverso ulteriori riti “voodoo”, la violenza fisica e le intimidazioni, le costringono a vendere il loro corpo per raccogliere il denaro necessario a saldare il debito contratto con i trafficanti. Solo con l’estinzione di tale debito, le donne sfruttate possono affrancarsi dal controllo dell’organizzazione e “liberare” la propria anima dal vincolo spirituale che ad essa la lega.
I riferimenti alle transazioni emersi nel corso dell’attività, spesso in contanti o talvolta effettuate attraverso il frazionamento in piccole somme oggetto di money transfer da parte di soggetti compiacenti che polverizzano, di fatto, le tracce della loro reale consistenza, evidenziano un volume d’affari dell’organizzazione criminale ingentissimo, considerato che la somma di denaro che ogni migrante si impegna a versare per il viaggio ammonta ad una somma che varia dai trentamila ai trentacinquemila euro versati in più tranches per coprire le spese di trasporto ed il loro irrisorio sostentamento: un primo acconto viene versato per il trasferimento dalla Nigeria alla città libica di Sabha; un secondo acconto è pagato per il trasferimento da Sabha a Tripoli. In alcuni casi il saldo finale avviene prima dell’imbarco; in altri casi, in particolare per le donne avviate alla prostituzione, il pagamento del saldo – in genere la parte più consistente della somma – avviene a destinazione attraverso la rifusione dei guadagni dell’attività di meretricio dai quali vengono detratte ulteriormente le spese sostenute dalle Madame per il vitto e l’alloggio delle vittime, con il conseguente aumento del periodo di sfruttamento originariamente a loro prospettato.
Di fatto, per alcuni degli odierni indagati da tempo integrati nel territorio Italiano nelle città di Roma, Sassari ed in provincia di Verona, l’acquisto di vere e proprie “schiave” scelte preventivamente sul territorio d’origine attraverso il ricorso all’ingaggio c.d. “per debito” delle giovani donne in ragione delle loro qualità fisiche e quindi della potenzialità ad essere sfruttate, ha garantito ai medesimi una lucrosa e sicura fonte di reddito garantita da un assoggettamento derivante da una tradizione culturale propria dell’etnia del gruppo d’origine del sud della Nigeria (la maggior parte delle ragazze proviene dalle città di Benin City o Lagos) e, soprattutto, dalla debolezza psicologica indotta dalle difficoltà connesse al lungo viaggio per raggiungere l’Europa in cerca di fortuna in compagnia di migliaia di migranti.